Il castello di Lagopesole si inserisce in un sistema, tipico dell’Italia meridionale del XIII secolo, che integra le funzioni di difesa e controllo del territorio con quelle dello svago e della rappresentatività legittimante del potere.
All’interno di un più ampio progetto di ricostituzione e rafforzamento del demanio, in un’ottica di centralizzazione del potere contro le spinte centrifughe dei feudatari, pronti sempre ad approfittare dei momenti di vuoti di potere, Federico II già dalla sua unzione imperiale del 1220 intraprese l’opera di confisca o distruzione dei castelli elevati dai baroni dopo la morte di Guglielmo II d’Altavilla (1189). Tutti furono costretti, così, a dimostrare la legittimità del possesso dei castelli ricadenti nei loro feudi.
Oltre alla confisca o alla distruzione dei castelli “abusivi”, Federico intraprese una vivace attività di costruzione o, spesso, di ricostruzione e ammodernamento di vecchie strutture. Emblematici di questa attività sono i manieri disseminati lungo tutti gli assi viari strategici del Regno.
Particolare attenzione fu riservata anche alla Basilicata, regione che costituiva un tutt’uno con la Capitanata di Puglia, prediletta per il riposo e per la caccia. In questo più ampio contesto e in questo ramificato sistema si colloca Lagopesole (in provincia di Potenza), che, al tempo stesso, è fortezza e reggia, castrum (castello) e domus solaciorum (edificio adatto allo svago).
Si tratta della struttura residenziale più grande fatta costruire da Federico II, poi ampliata da suo figlio Manfredi e ancora dai successivi sovrani angioini. Posta su un’altura visibile a grande distanza, spicca per la monumentalità del complesso e per gli specifici dispositivi ornamentali. Il donjon (la torre fortificata), cui si accedeva solo da una porta collocata a diversi metri di altezza (sopra una cisterna), era dotato di confort idonei alla vita quotidiana.
